I personaggi della trilogia cinematografica del Padrino, creati da Mario Puzo e portati sul grand schermo da Francis Ford Coppola, sono certamente il primo pensiero di chiunque senta pronunciare il nome di Corleone. La fama leggendaria della famiglia mafiosa italo-americana e tale che molti turisti, non appena giunti in città, si affrettano a cercare la casa natia di Don Vito. Il quale, beffardo, deludera immancabilmente tale capriccio a causa della sua stessa non-esistenza. L’equivoco puo essere spiegato dal singolare miscuglio tra una storia immaginaria ma verosimile, e una realtà tragica che ha visto per piu di trent’anni le famiglie mafiose corleonesi al comando indiscusso di Cosa Nostra. Ma la fiera città siciliana ha molto da offrire, oltre agli stereotipi per i quali e nota ai piu. Essa e famosa per la produzione agricola ed enologica, per la natura ancora incontaminata che la circonda ed anche per le tradizioni ed il sentimento religioso che una storia antichissima ha lasciato in eredità ai suoi abitanti. Custode e simbolo di tale sacralità contemporaneamente sobria ed inaccessibile, e una piccola comunità di frati francescani. L’apparente contrasto fra la loro semplice umanità e l’inflessibile applicazione quotidiana di una regola che prescrive la povertà materiale piu assoluta per avvicinarsi a chi non possiede nulla, e ben rappresentato dal monastero in cui essi vivono. Posto sì al centro dell’abitato, ma in cima a uno sperone di roccia che lo ha reso nei secoli ora inespugnabile roccaforte, ora prigione senza alcuna via di fuga. Un tempo unita ai rilievi che circondano la città, la rocca e rimasta isolata in seguito ai crolli che nei millenni hanno trasformato il paesaggio circostante in una sorta di canyon. Il castello medievale, usato a fini militari dai popoli che a turno dominarono la Sicilia, e stato poi trasformato in carcere ed infine abbandonato in seguito a un violento terremoto. La solida struttura ha resistito pero fino ai giorni nostri, tanto che negli anni settanta essa e stata recuperata dai frati minori rinnovati, ordine appena distaccatosi da quello dei Cappuccini per seguire ancor piu rigorosamente la regola di San Francesco d’Assisi. Piedi scalzi e barba incolta, vestiti di un rustico saio d’estate e d’inverno secondo l’insegnamento del santo che otto secoli fa rinuncio a tutte le sue ricchezze per servire il prossimo, essi riposano in quelle che furono le celle della prigione. I frati svolgono a turno le attivita necessarie alla vita della comunita: cucinare, coltivare, pulire, lavare, o occuparsi della falegnameria. La loro serena felicità, contrapposta all’austerità del luogo, e percepita con grande emozione da chi abbia la fortuna di stare a contatto con loro e testimonia indiscutibilmente la potenza di una fede che nasce da una decisione difficile e coraggiosa. Allontanandosi da una realta ormai caratterizzata dall’individualismo e dal consumismo, essi riescono a dimostrare come sia possibile ancor oggi condurre una vita semplice e ispirata da una fede genuina. Il loro mondo e fatto soltanto da cio che molti troverebbero impossibile da sopportare per piu di una settimana. La giornata della comunità inizia infatti all’una del mattino con la preghiera, seguita da quattro ore di riposo e altre tre ore di preghiera e contemplazione fino alle nove. Il resto del tempo e dedicato alle attività di studio e lavoro, interrotte soltanto a mezzogiorno per il pranzo ed alle sette della sera per i vespri. Dopo cena si torna brevemente in chiesa per la compieta, ed alle nove e già il silenzio. La loro scelta di rinuncia a tutto cio che non sia strettamente necessario al sostentamento li porta a vivere unicamente di cio che la natura mette a disposizione e della carità della gente. Gli ortaggi coltivati in un cortile del vecchio carcere e i cibi ricevuti in dono vengono conservati al fresco di una grotta naturale e preparati in una vecchia cucina a legna. E quasi uno shock, per chi e preso dal vortice della vita cosiddetta normale, o piuttosto e assuefatto ad essa, scoprire quanto sia semplice soddisfare i bisogni fondamentali dell’uomo e dedicare il resto delle energie alla propria crescita interiore o ad aiutare i meno fortunati. L’ordine dei frati minori rinnovati, che conta oggi circa settanta membri, ha infatti missioni in luoghi remoti della Colombia e della Tanzania. Nel villaggio africano di Pomerini, ad esempio, vivono in comunione con la popolazione, cooperando inoltre con un’organizzazione laica italiana che ha aiutato gli abitanti ad avviare la produzione di manufatti in legno per le scuole locali a partire dalla coltivazione sostenibile delle foreste. Anche a Corleone i frati hanno dato e continuano a dare un contributo importante al progresso umano e spirituale della società. L’esempio di uomini che hanno scelto di vivere in un luogo di sofferenza ed espiazione di condanne terrene pregando per l’intera umanita, contrasta fortemente col temperamento di coloro che fino a pochi anni addietro erano i padroni assoluti di questo territorio. Caratteristica comune dei boss mafiosi e infatti l’abisso fra il loro sentimento religioso e una vita interamente dedicata all’esercizio di un potere abusivo e spietato. Bernardo Provenzano, capo supremo di Cosa Nostra, fu catturato nel 2006 dopo quarant’anni di clandestinita, in una vecchia casa di campagna poco lontana dal luogo in cui nacque dove possedeva un letto per dormire, una macchina da scrivere e una vecchia Bibbia fitta di appunti. La sua corrispondenza con gli altri membri dell’organizzazione criminale, scritta su piccoli fogli di carta recapitati da una rete di messaggeri insospettabili, era caratterizzata dalla costante invocazione della benevolenza e della volontà divina, persino quando si decideva la morte di altre persone. Al contrario, la coerenza con cui i frati vivono la propria fede li rende parte di una comunità che in anni recenti ha imboccato con decisione la strada del cambiamento, che consiste in parte in una riscoperta del proprio passato, contrapponendo alle personalità che hanno caratterizzato negativamente gli ultimi decenni il ricordo dei suoi uomini illustri. Sono trascorsi circa quattro secoli da quando il piu valoroso spadaccino siciliano, Filippo Latino, scelse di deporre le armi e indossare il saio per diventare Fra Bernardo, santo della Chiesa romana a cui e dedicato l’eremo corleonese dei frati minori. E poco piu di sessant’anni dall’omicidio di Placido Rizzotto, contadino, partigiano e sindacalista punito dalla mafia per il suo impegno in difesa dei lavoratori contro i soprusi dei padroni. Oggi a Corleone sono numerose le iniziative per restituire le terre dei mafiosi ai contadini, tanto che persino dall’estero arrivano giovani desiderosi di contribuire col proprio lavoro alla rinascita di un’agricoltura ecologica e di una società piu giusta. Del resto, il contrasto fra bene e male in questi luoghi ha sempre avuto un aspetto particolare, caratterizzato da luci brillanti e ombre dai contorni più o meno sfumati. Fra Benigno, membro della confraternita corleonese, e convinto che anche il fenomeno mafioso sia frutto di una scelta, dalla quale si e sempre in tempo a redimersi. Ma secondo il religioso, che per la sua lunga esperienza di esorcista ha conosciuto il male assoluto liberando uomini e donne dalla possessione diabolica e ne ha descritto gli aspetti piu sconvolgenti nel recente libro «Il diavolo esisteio l’ho incontrato», non basta prendere coscienza del proprio passato e pentirsi. E necessario che i singoli uomini, e la società nel suo insieme, dimostrino concretamente coi fatti il loro proposito.

© – Luigi Casella 2009